Una recente sentenza del Tribunale di Roma (ordinanza 75870/2018) unita alla sentenza della Corte Costituzionale – che ha dichiarato illegittimo l’articolo 3, comma 1, del Decreto legislativo n. 23/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte non modificata dal successivo Decreto Dignità D.L. n 87/2018, che determinava in modo inconfutabile ed inattaccabile l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato, sulla base di meri criteri numerici legati all’anzianità, – hanno generato una ulteriore nube sulle tutele crescenti.
La fattispecie giuridica inerisce un licenziamento disciplinare irrogato nei confronti di un lavoratore assunto a tempo determinato, vecchio regime, il 20 ottobre 2014, ed oggetto di una trasformazione a tempo indeterminato, successiva alla dead line del 7 marzo, data di entrata in vigore del Decreto Legilativo delegato n. 23/2015. L’art 1, comma 2, dell’atto legislativo testè citato, recita quanto segue: “Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all’entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato”
Il datore di lavoro, asseriva che il contratto a tempo determinato oggetto di trasformazione in data 21 aprile 2015, apparteneva alla citata previsione articolo 1, comma 2, del Dlgs 23/2015. Per cui rientrano nel campo di applicazione delle tutele crescenti quei contratti, che pur essendo stipulati a tempo determinato ante riforma jobs act, siano stati oggetto di conversione a tempo indeterminato post jobs act. Secondo il Tribunale di Roma, è opportuno effettuare un distinguo tra conversione e trasformazione. La prima inerisce una genesi coatta di origine ispettiva o giudiziale; la seconda di natura volontaria tra le parti. Anche se poi il Tribunale fa anche riferimento e a casi di conversione “stragiudiziale”, laddove è presente una forma volontaria. Pertanto, rientrano nelle tutele crescenti, i soli contratti a tempo indeterminato nati dal 7 marzo 2015 ed i soli contratti a tempo determinato nati ante jobs act poi convertiti ispo iure dal 7 marzo 2015. Il tribunale ha quindi applicato la tutela reintegratoria in caso di insussistenza del fatto contestato, nonché nelle ipotesi in cui il fatto contestato sia sostanzialmente irrilevante sotto il profilo disciplinare o non imputabile al lavoratore. (v. Cass. Sentenza n. 13178 del 25/05/2017). Annulla il licenziamento irrogato in data 10.7.2017 e condanna parte resistente alla reintegrazione nel posto di lavoro con le mansioni in precedenza svolte, nonché al pagamento di una somma pari all’ ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento fino alla reintegra , comunque nel limite delle 12 mensilità, oltre al versamento dei contribuiti assistenziali e previdenziali dal giorno del licenziamento fino a quello dell’effettiva reintegrazione
Certamente, tale decisione, destabilizza ulteriore il già minato campo delle tutele crescenti. Già orfano del preciso target di costo di uscita del lavoratore a cui si aggiunge, ora, l’incertezza sul regime giuridico di tutela del lavoratore per tutte quelle trasformazioni di tempi determinati negoziati ab origine ante jobs act, e rinegoziati post 7 marzo 2015, in chiave trasformativa, con una finalità anche di usufruire degli incentivi alle assunzioni previsti nelle varie leggi di Bilancio 2015-2016-2017-2018 .
Nota elaborata dal Centro Studi di Alleanza Lavoro giovedì 8 novembre 2018.