Un interessante ipotesi può essere quella della certificazione delle causali al fine di combattere l’incertezza del diritto profusa dal Decreto Dignità.

La certificazione dei contratti di lavoro, introdotta dalla riforma Biagi  «al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro», è una procedura volontaria che mira a porre un sigillo al rapporto di lavoro circa il suo inquadramento normativo. Alla certificazione si può far ricorso sia al momento di instaurare un contratto di lavoro che dopo, cioè durante il suo svolgimento. In ogni caso rimane ferma la finalità: prevenire ogni forma di contestazione in merito a effetti civili, amministrativi, previdenziali o fiscali del contratto di lavoro. La certificazione è volontaria e il relativo procedimento ha inizio su istanza comune da parte delle parti del contratto di lavoro. L’atto di certificazione ha natura di provvedimento amministrativo; pertanto, non può essere oggetto di contestazione da parte degli ispettori del ministero del lavoro, dell’Inps e dell’Inail, né da parte di altra pubblica amministrazione, in relazione alla qualificazione del rapporto di lavoro e conseguenti obblighi contributivi.

Il procedimento di certificazione deve concludersi entro 30 giorni dal ricevimento dell’istanza o della documentazione integrativa eventualmente richiesta. Il procedimento può concludersi:  in maniera positiva, con un atto di certificazioneovvero con un provvedimento di diniego, motivato, se la Commissione ritiene di non poter accogliere l’istanza di certificazione.

Data la blindatura nei confronti degli organi ispettivi, anche il personale di vigilanza è tenuto a esperire necessariamente il tentativo di conciliazione allo scopo di «smentire» la certificazione in relazione al contratto di lavoro sottoposto a controllo. Pertanto, quando nel corso di verifiche vengano rilevati vizi riconducibili all’erronea qualificazione del contratto o alla difformità tra programma negoziale certificato e successiva attuazione, per una regolare irrogazione delle sanzioni sarà necessario per l’ispettore rivolgersi prima alla Commissione che ha emesso l’atto di certificazione per espletare il tentativo di conciliazione; poi, se infruttuosamente esperito il tentativo, potrà/dovrà fare ricorso al giudice del lavoro o al Tar (tribunale amministrativo regionale) per l’annullamento della certificazione: fino a tale annullamento, non può emettere provvedimenti sanzionatori.

Gli effetti della certificazione decorrono, nei confronti delle parti e dei terzi interessati (e così anche nei confronti dell’INPS, dell’INAIL, dell’Amministrazione finanziaria, e del ministero del Lavoro), dalla sottoscrizione dell’atto di certificazione e permangono fino al momento in cui sia accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili. In caso di contratti di lavoro in corso di esecuzione, gli effetti della certificazione si producono dal momento di inizio del contratto se la Commissione rileva che l’attuazione dello stesso è stata, anche nel periodo precedente alla propria attività istruttoria, coerente con quanto appurato in sede di certificazione.
In caso di contratti non ancora sottoscritti dalle parti, invece, gli effetti della certificazione si producono soltanto se e nel momento in cui le parti stesse provvedano a sottoscriverli, con le eventuali integrazioni e modifiche suggerite dalla Commissioni.

ll contratto che ottiene il visto di certificazione da parte di una Commissione acquisisce piena forza legale nei confronti delle parti e dei terzi interessati. Di fatto, opera il c.d. “principio di inversione dell’onere della prova”: spetta a chi contesta la regolarità del contratto dimostrare l’invalidità del testo certificato. Il contratto di lavoro certificato acquisisce, inoltre, una speciale “forza” (o “stabilità”) in sede:
– di verifica ispettiva: fino a che permangono gli effetti della certificazione, gli organi ispettivi delle autorità terze interessate non possono adottare atti o provvedimenti amministrativi da cui deriva una diversa qualificazione del rapporto di lavoro (…ma seguire la via della conciliazione obbligatoria e poi la via giudiziale);
giudiziale: nella qualificazione del contratto di lavoro e nell’interpretazione delle relative clausole, il giudice non può, salvo in determinate ipotesi discostarsi dalle valutazioni espresse dalle parti in sede di certificazione (art. 30, c. 2, L. 183/2010).

Le parti che vogliono contestare la validità di un atto già sottoposto al vaglio di una Commissione (positivamente certificato o ancora in fase di valutazione) possono impugnare il contratto certificato oppure richiedere l’intervento degli organi ispettivi per una verifica. L’impugnazione è possibile, in determinate ipotesi, anche da parte dei terzi nei confronti dei quali l’atto di certificazione produce effetti.
Prima di proporre ricorso giurisdizionale avverso un atto certificato, il ricorrente (parte o terzo interessato) deve rivolgersi obbligatoriamente alla Commissione che ha adottato l’atto di certificazione per espletare un tentativo di conciliazione, a pena di improcedibilità del ricorso. Esperito il tentativo di conciliazione è possibile proporre ricorso presso le autorità e per le motivazioni indicate di seguito:
– erronea qualificazione del contratto ; difformità tra il programma negoziale certificato e la sua successiva attuazione; vizi del consenso.  In queste ipotesi il giudice, nel qualificare il contratto di lavoro certificato e nell’interpretare le relative clausole, può discostarsi dalle valutazioni delle parti espresse in sede di certificazione (art. 30, c. 2, L. 183/2010). In tutte le altre situazioni, il giudice non può discostarsi dalle valutazioni che le parti hanno fatto in sede certificatoria.

Pertanto, quando nel corso di una verifica ispettiva viene esibita dalla parte, sottoposta a controllo, la certificazione di un contratto di lavoro o di appalto, l’ispettore è di fatto con le mani legate e non può contestare alcunché, per lo meno fino al momento in cui non è accolto, con sentenza di merito, uno dei ricorsi giurisdizionali esperibili. In particolare, se, al termine dell’attività di vigilanza, vengano rilevati vizi riconducibili all’erronea qualificazione del contratto ovvero alla difformità tra programma negoziale certificato e sua successiva attuazione, il personale ispettivo dovrà indicare, nel verbale, l’espressa avvertenza che l’efficacia della certificazione e del suo disconoscimento (per l’applicazione di sanzioni ed eventuali altri effetti derivati) e condizionata al positivo espletamento del tentativo di conciliazione obbligatorio presso la commissione di certificazione, oppure, in caso la stessa non riuscisse, all’utile proposizione giudiziale delle impugnazioni previste.

Di conseguenza, anche l’ispettore deve procedere, una volta acquisito il regolamento interno di funzionamento della commissione che ha disposto la certificazione, a esperire il tentativo obbligatorio di conciliazione. Dopo infruttuosamente esperito il tentativo di conciliazione, e possibile promuovere ricorso al giudice del lavoro o al Tar.

Va adito il Tar in tutti i casi in cui si riscontri la violazione di norme che disciplinano il procedimento o uno sviamento dell’esercizio del potere certificatorio (eccesso di potere) un’ipotesi, questa, del tutto residuale, da ascrivere a fattispecie in cui la decisione della commissione non trovi alcun fondamento negli elementi forniti dalle parti. Diversamente, laddove si ravvisi un errore attinente alla qualificazione giuridica del contratto oppure una difformità tra programma negoziale e quello che è stato realizzato, ovvero i vizi del consenso, la giurisdizione è riservata al giudice ordinario.

Per quanto sopra, anche le terribili causali di legge, introdotte dal Decreto Dignità, possono essere oggetto di un valido sistema di certificazione. Procedura volontaria delle parti del futuro rapporto di lavoro o di un rapporto di lavoro in essere a seguito di una proroga con causale, innanzi ad organi predisposti ed autorizzati. Come dire, quindi, che si possono certificare le causali e la loro validità. Una sorta di blindatura nei confronti dei vari soggetti terzi, tra cui la grande articolazione ispettiva del Ministero del Lavoro. Ma, per quanto possa preservare dalle vicende ispettive, nel caso di rivendicazione del lavoratore in tema di legittimità delle causali, la blindatura tende a scricchiolare. Come detto, in precedenza, il lavoratore dovrà esperire prima di tutto il tentativo obbligatorio di conciliazione presso l’organo certificatorio, ab origine, esprimendo le proprie argomentazioni che sono oggetto della sua resistenza. In mancanza di conciliazione, si procede per la risoluzione della querelle innanzi al giudice ordinario. Il giudice, non potrà discostarsi dalla valutazione che le parti hanno determinato in sede di certificazione della causali. Ed inoltre, anche nei tre casi (vizi del consenso, difformità programma lavorativo, erronea qualificazione del contratto) il cui il giudice può discostarsi dalle valutazioni prodotte in sede certificatoria, nessuna di queste tre fattispecie consente al giudice di potersi discostare dalla valutazione/creazione delle motivazioni di ricorso certificate.

Nota elaborata dal Centro Studi di Alleanza Lavoro lunedì 12 novembre 2018.